Le banche devono conoscere il prodotto finanziario che vendono

Importante sentenza della Cassazione in una causa patrocinata dal consulente legale del Centro Tutela Consumatori e Utenti

La banca ha l'obbligo di fornire all'investitore un'informazione il più possibile completa circa le caratteristiche dell'investimento che propone e non deve celare all'investitore stesso il rischio presumibile relativo all'investimento proposto. Per far questo deve acquisire lei stessa una conoscenza completa ed approfondita dei prodotti finanziari negoziati (cd. regola del “know your merchandise”).

Questo, in estrema sintesi, il principio affermato lo scorso tre aprile dalla Corte di Cassazione in un'importante sentenza pronunciata nella causa che un investitore privato aveva avviato contro un istituto bancario del Friuli (si trattava di una Banca di Credito Cooperativo). La causa è stata patrocinata dall'avv. prof. Massimo Cerniglia, che è anche consulente legale del Centro Tutela Consumatori Utenti.

La vicenda

Il risparmiatore aveva investito ancora nel 2000, oltre 100.000 euro in bond della società Cirio. A causa del fallimento della società emittente lo stesso aveva perso l'intera, rilevante somma investita. Il Tribunale di Pordenone aveva inizialmente dato ragione al risparmiatore, ma la Corte di Appello di Trieste aveva riformato la sentenza, dando poi ragione alla Banca. L'avv. Cerniglia aveva quindi impugnato la sentenza della Corte di Appello davanti alla Corte di Cassazione e la stessa Corte ha accolto il ricorso.

Il legale, che ha assistito il consumatore, aveva denunciato, fra le altre cose, la violazione da parte della Banca della norma prevista dall'art 26 del Regolamento Consob n.11522/98 che impone agli intermediari di acquisire un'adeguata conoscenza del prodotto finanziario (o dello strumento finanziario) prima di negoziarlo o collocarlo ai risparmiatori, nonché la violazione degli obblighi informativi sul prodotto da parte della Banca.

E la Suprema Corte ha dato ragione al consumatore, affermando la violazione di tali doveri nel caso specifico. Di particolare nota, come detto, è non solo il principio affermato dell'obbligo in capo all'intermediario di un'informazione preventiva (al cliente) quanto più possibile completa delle caratteristiche dell'investimento (lettera B dell'articolo 21 del Testo Unico sulla Finanza – Tuf), bensì anche quello di una sua condotta diligente che contempli anche la preventiva conoscenza delle caratteristiche effettive del prodotto finanziario che l'intermediario stesso intende proporre alla clientela (conoscenza da ritenersi fondata su parametri specifici di prevedibilità dell'andamento dell'investimento sul mercato e non solo su informazioni generalmente riscontrabili dalla stampa, ancorché di settore).

La mancata conoscenza e trasmissione delle informazioni necessarie ad illustrare le caratteristiche specifiche del prodotto determina, conseguentemente, anche la violazione dell'obbligo di fornire al cliente un'informazione adeguata sul prodotto (vedi art 21 del Tuf e dell'art.28 del Regolamento Consob n.11522/98).

Anche le informazioni generiche contenute nel cd “documento sui rischi generali” non bastano, ma e' necessario che vengano riempite di contenuto concreto con riferimento allo specifico investimento proposto, così come richiesto nell'allegato 3 dello stesso Regolamento Consob.

La Cassazione ha affermato, infine, che il Giudice del merito (tribunale o corte di appello) è tenuto ad un rigoroso accertamento dell'assolvimento dell'obbligo informativo da parte della banca, al fine di verificare se la condotta dell'intermediario sia stata diligente sotto il duplice profilo della conoscenza del prodotto e della trasmissione adeguata delle informazioni.

Secondo Walther Andreaus, direttore del CTCU, tali principi sono di estrema rilevanza, anche per il contenzioso riguardante il Fondo Dolomit, intrapreso da oltre un centinaio di risparmiatori locali, difesi pure dall'avv. prof. Massimo Cerniglia, contro la Cassa di Risparmio di Bolzano, e questo sulla base del fatto che la Banca non avrebbe avuto una conoscenza adeguata e puntuale del prodotto (il fondo Dolomit) da lei collocato alla propria clientela nel 2005, ma si sarebbe attenuta all'erronea classificazione del prodotto operata dalla SGR che aveva emesso il fondo.

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